Postiamo questo importante contributo pubblicato ieri da Repubblica - D.it
Quanto è inquinato il latte delle mamme italiane? E perché deve preoccupare tutti? D.it tenta una mappatura Di Ilaria Lonigro
Ci sono cose che non andrebbero mai perse d'occhio: le api, gli anelli
di un albero, il latte di una mamma. Tutte indicano con molta precisione
il livello di inquinamento di una zona. E quando sono contaminate, a
preoccuparsi non devono essere le api, gli alberi e le madri, ma
un'intera popolazione.
Stoccolma, oltre dieci anni fa. Viene
sottoscritta la Convenzione che vieta 12 inquinanti persistenti (quelli
che restano nell'ambiente e negli organismi per anni), tra cui le
pericolosissime diossine, a cui se ne aggiungono altri 9 nel 2009. 151
Stati da allora l'hanno ratificata. L'Italia, no. Solo
nel nostro Paese, infatti, unico caso in tutta l'Unione, immettere
diossine ed altri POPs (Persistent Organic Pollutants) nell'ambiente è
ancora possibile.
A farlo, come risulta dal registro europeo sulle
sorgenti di diossine, è soprattutto la combustione di rifiuti urbani,
ospedalieri e industriali. Il caso di Montale, in provincia di Pistoia,
ha dimostrato una volta per tutte la relazione tra inceneritori e
contaminazione del latte materno: i profili delle molecole tossiche
riscontrate nei campioni di latte erano esattamente sovrapponibili a
quelli emessi dall'impianto e trovati anche nella carne di pollo.
Tra
le fonti, anche le industrie che producono o lavorano metalli (rapporto
INES 2006, Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e le
discariche, come ha evidenziato drammaticamente il controverso rapporto
Sebiorec per la Campania. Non solo: gli inquinanti, come spiega un
recente studio pubblicato su Medico e bambino, dal titolo “Breastmilk,
dioxins and PCBs”, si spostano da un territorio all'altro attraverso
venti e acque e sono assunti dalle persone per mezzo di alimenti
contaminati, in particolare carni, pesce e derivati animali. Il
problema, evidentemente, è di tutti.
Oltre a diossine e PCB (policlorobifenili), sono più di 300 le sostanze tossiche,
di cui molte mutagene e cancerogene, che possono essere trasferite al
bambino in pancia o col latte materno. Tra queste, benzene, mercurio,
cadmio. I rischi di un'esposizione alle diossine, in particolare, sono
tutt'altro che da sottovalutare: tra i pericoli per il bambino, sia in
pancia che una volta nato, ci sono ritardi nella crescita, anomalie del
comportamento e danni neuropsichici. L'esposizione a diossine di un
individuo, invece, è legata allo sviluppo di tumori, anomalie dello
sviluppo cerebrale, deficit del sistema immunitario, disturbi
riproduttivi, cardiovascolari, epatici, cutanei, polmonari, metabolici,
endometriosi e endocrinopatie.
A chiedere la ratifica della
Convenzione di Stoccolma, da anni, è la Campagna Nazionale in Difesa del
Latte Materno dall'inquinamento, condotta da una Giovanna D'Arco
nostrana, Patrizia Gentilini. Classe '49, madre e
oncologa, da anni chiede a gran voce un monitoraggio a campione del
latte materno, per mappare le zone più inquinate e rendere consapevoli i
cittadini “di informazioni che spesso vengono occultate, come la
diffusione di diossina”. A dire quante diossine emette un'industria,
infatti, è la stessa industria, tramite un meccanismo di autocontrollo
che lascia molti dubbi anche nelle metodologie. Nonostante
l'inquinamento, però, mette in chiaro Gentilini, è sempre preferibile
allattare al seno i bambini.
Ma quanto è inquinato il latte materno in Italia? E quali sono le zone a rischio?
Con l'aiuto di Patrizia Gentilini, D.it ha cercato di fare una
mappatura, riunendo i (pochi) dati pubblicati recentemente, che, nella
maggior parte dei casi, hanno un significato più di “case report” che di
ricerca scientifica. In Italia, infatti, il monitoraggio del latte
materno è lasciato troppo spesso all'iniziativa (anche economica) di
cittadini preoccupati, come nel caso di Montale.
Il limite massimo di
concentrazione di diossina e sostanze tossiche equivalenti (TEQ) nel
latte materno è per consuetudine stabilito a 6 picogrammi per grammo di grasso e corrisponde al valore limite fissato dall'UE per il latte animale a crudo.
Nella
capitale, le mamme hanno in media 20,4 picogrammi di TEQ per grammo di
grasso nel latte. A Milano 10 picogrammi, così come a Piacenza,
Giugliano, Montale e Forlì. A Marghera i valori oscillano tra i 25 e i
34,2 picogrammi. A Brescia una mamma aveva 147 picogrammi di TEQ per
grammo di grasso: un valore mai segnalato prima in letteratura. A
Taranto, dove è in funzione da 50 anni l'acciaieria più grande d'Europa,
che, secondo i dati INES 2006, immette in atmosfera 96,5 g di diossina
all'anno (il 92% del totale di diossina immessa in Italia dai grandi
impianti), il valore medio è di 23,41 picogrammi per grammo di grasso,
ma l'apice ha toccato i 39,99 picogrammi. Infine a Caserta si è
registrato un valore medio di 12,1 picogrammi di TEQ per grammo di
grasso.
Wow very interesting
RispondiEliminaThank You