venerdì 16 dicembre 2011

BIOMASSE DILAGANTI IN APPENNINO


La Provincia di Modena ha stanziato oltre cinque milioni di euro per incentivare la produzione di “energie alternative” di derivazione agricola e per finanziare la realizzazione di impianti a biomassa, la maggior parte dei quali dovrebbe essere costruita in Appennino (la notizia può essere letta qui).
Se ci si aggiunge la recente proposta di Fiper (Federazione Italiana Produttori Energie Rinnovabili) circa la realizzazione di 801 centrali a biomassa per i comuni non metanizzati, dislocati in particolare nel nord Italia, si ottiene uno scenario sufficientemente indicativo della via che le nostre Amministrazioni intendono percorrere e che è eufemistico definire allarmante. 

Innanzitutto, come può il cittadino sentirsi rassicurato circa l’innocuità di impianti all’interno dei quali è di fatto possibile bruciare di tutto? Secondariamente, fino a che punto è sostenibile una diffusione capillare di impianti a biomassa alimentati da scarti agricoli e da boschi?

Non c’è bisogno di lambiccarsi, ma è sufficiente guardarsi attorno e prendere atto, ad esempio, di quanto sta accadendo in Germania, paese la cui superficie forestale è pari a circa un terzo del territorio nazionale (percentuale paragonabile a quella italiana). Ebbene, l'affiliata tedesca della multinazionale energetica svedese Vattenfall, in base a un accordo con il senato di Berlino, importerà alberi africani per produrre energia “verde” in Germania, dal momento che i boschi locali non bastano a soddisfare il fabbisogno. Fabbisogno che, peraltro, si limita a costituire appena poco più del 30% dei materiali utilizzati dagli impianti a biomassa realizzati da Vattenfall: oltre il 60% è infatti costituito da rifiuti domestici e industriali. Riassumendo, un colosso che gestisce anche centrali a carbone e impianti nucleari deprederebbe l’Africa, creando emissioni di gas a effetto serra per trasportare in Europa ingenti carichi di legname, in loco mischiando tutto ai rifiuti -  e questa sarebbe “energia verde”.

Ci sembra che ci sia più di un motivo per riflettere. Queste semplici constatazioni, che sollevano grandi interrogativi, dovrebbero bastare per rispondere alla domanda se le cosiddette “energie rinnovabili” siano sempre davvero tali, o piuttosto grossi affari per qualcuno, ai danni delle comunità e dell’ambiente.
Se qualcuno avesse dubbi su quanto siano collegati, in nome degli affari, inquinamento e corruzione (assioma sostenuto da tempo dal Prof. Paul Connett, divulgatore convinto della strategia Rifiuti Zero, sempre più largamente attuata anche in grandi metropoli: emblematico è il caso di San Francisco), non deve far altro che scorrere i quotidiani di questi giorni.
Su “Repubblica” si legge ad esempio che Iren, la multiutility che dovrebbe realizzare l’inceneritore di Parma, “avrebbe pagato 880mila euro al Comune e alla Provincia per la pratica” dell’impianto, secondo le dichiarazioni di un ex consigliere di minoranza. Una pratica piuttosto costosa e sulla quale il comitato Gestione Corretta Rifiuti di Parma sta chiedendo a gran voce che sia fatta chiarezza.
E’ invece apparsa su “Il Fatto quotidiano” la notizia relativa all’arresto di undici persone, rinviate a giudizio per avere smaltito rifiuti pericolosi all’interno dell’inceneritore della Riso Scotti Energia, che avrebbe dovuto produrre energia pulita (i reati contestati vanno dal traffico illecito di rifiuti a truffa e corruzione, passando per la frode in pubbliche forniture).

Il problema è pertanto ben più complesso di quanto possa apparire a prima vista. Una revisione della normativa vigente in una direzione che tuteli maggiormente cittadini e territorio è indispensabile, a cominciare dagli incentivi per la produzione di energia elettrica da biomassa, che, al contrario di quanto sostiene Confagricoltura, non devono affatto essere incrementati ulteriormente, bensì, esattamente all’opposto, ritoccati al ribasso. Questi impianti devono essere sostenibili da tutti i punti di vista: innanzitutto da quello ambientale (devono cioè poter essere alimentati senza depredare il territorio e snaturarne le caratteristiche; deve essere garantito il rispetto per l’ecosistema e per la vocazione del territorio), ma anche da quello economico (se sono convenienti solo in presenza di incentivi, evidentemente non si tratta di un’alternativa percorribile né di una produzione virtuosa).

La diffusione capillare degli impianti a biomassa non ha nulla di “verde”, perché non è sostenibile su larga scala: questo implica necessariamente il ricorso ad altre fonti, che vengono attinte al mercato globale (con le conseguenze sopra illustrate) o individuate nell’integrazione con rifiuti (con l’evidente conseguenza di trasformare gli impianti in inceneritori travestiti).
E’ chiaro che la logica sottesa a queste operazioni è puramente economica: non possiamo accettare di essere depredati delle risorse fondamentali cui tutti abbiamo diritto (aria, acqua, terra). Non possiamo accettare di essere tutti avvelenati per l’interesse finanziario di pochi.

(L'immagine è tratta dalla copertina della rivista TuttoNormel n. 11 Novembre 2011)

1 commento:

  1. un immagine estramamente eloquiente..
    si prospettano anni infuocati..sentiremo la puzza di bruciato ovunque, la deforestazione incentivata è frutto di una scelta politica volta alla propagazione di fuochi tecnologici... madre natura starà a guardare?
    le idee brucianti dell'uomo sono la causa!
    fossero brillanti...sentiremmo il botto!

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